L’apocalisse di Du Zhenjun


“… l’uno non comprenderà la parola dell’altro e siano essi dispersi fra i paesi e i
popoli, e non vi sia più, così, fra di loro, un solo modo di intendersi,
fino al giorno del giudizio”.

Sono le parole scritte nella Genesi della Sacra Bibbia, e sarebbero state pronunciate da Dio, nel momento in cui sorprese gli umani a costruire una città che si sviluppasse in altezza per raggiungere il cielo. Per punire la loro superbia e il desiderio di eguagliarsi a Dio, Egli li colpì con il disordine, con l’incomprensione, e quella città, rimasta incompiuta, prese il nome di Babele.
Il mondo si allarma per questo 21 Dicembre 2012, in cui pare debba finire tutto. Ma quel tutto che deve finire, in fondo, cos’è? E poi, quando è cominciato?
Il cinese Du Zhenjun fa dell’arte la sua forma illimitata di espressione. Artista poliedrico crea installazioni, disegni e immagini. Nel suo lavoro “Tower of Babel” ricrea, in grandi riproduzioni fotografiche, una versione contemporanea dell’apocalisse, o meglio, dell’occasione in cui tutto è cominciato. I soggetti che caratterizzano le sue composizioni sono i ritratti e le istantanee reali di avvenimenti accaduti nel mondo: guerre, manifestazioni, disastri, naturali e umani.
Abbandoniamoci alla riflessione.

Du Zhenjun trasforma il mondo in una nuova torre di Babele, ma non pensate che questa Terra lo sia già? Non c’è già troppo disordine, ingiustizia e incomprensione?
Il primo sinonimo di disordine che compare sul dizionario è babele, con la lettera minuscola. E nemmeno a farlo apposta tutte le conseguenze della confusione voluta da Dio sono qui, come a giustificare questo aggettivo. Incarniamo la superbia e la supremazia sul mondo, lo stesso che Egli voleva che abitassimo.
Nelle immagini proposte da Du Zhenjun osserviamo una composizione standard: al centro è sempre presente un’interpretazione della Torre, varie forme, varie strutture, varie visioni. Poi tutt’intorno aleggia un’atmosfera grigia, l’atmosfera della realtà. Un ammasso di cose, persone e edifici. Sono parti di fotografie, o meglio di reportage giornalistici, di guerra e non solo.
L’origine della fonte di luce non la individuiamo, è nell’aria: tutto è illuminato, come nelle stampe composite di fine ottocento, antenate del fotomontaggio.

Nello scompiglio generale lo spettatore può spendere del tempo a notare delle figure, dei particolari, e scoprire quanto essi siano scioccanti. Vi si trova morte, disperazione, sofferenza.
Nell’opera “The Crusades” spicca la figura di una bambina dai capelli biondi che osserva il caos di fronte a sé, impotente e solitaria osservatrice della realtà. E’ di spalle, non ha un volto, lei è la figurazione di ciò che rappresenta.
E perché il mondo non cambia in suo nome? Perché tutto continua inesorabilmente ad essere così… sbagliato? La società si divora difronte a lei, senza curarsi del suo futuro. Nemmeno del suo presente.
Quella bambina siamo noi, siamo noi tutto questo, e l’aneddoto di Babele è solo un simbolo del disprezzo “divino” per la cattiveria umana. Ma ci lascia pensare a quanto quest’ultima sia la causa stessa della punizione che ci sarebbe stata inflitta.
Il 21 Dicembre, o qualunque data dovesse ancora essere fissata, dovrebbe essere la fine di questo mondo. Dovrebbe essere l’inizio di un mondo nuovo, vero e puro.
Uno migliore.
Ma nemmeno il timore di una fine riesce a spingerci al cambiamento.
Cattiva è la società, che non vuole diventare consapevole; che se volesse potrebbe girarsi verso quella bambina e vedere i suoi occhi e reagire. Perché lei rivolta verso quel caos ci resta, e dentro di sé resta palpitante una speranza.
Allora cosa cambierà in questa, o altre date? Niente, come niente continua a cambiare.


Stefano Gizzi

A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.

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