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10 (meno uno) luoghi comuni per comuni mortali

10 (meno uno) luoghi comuni per comuni mortali


Oggi mi girano abbastanza le palle, quindi state alla larga. Soprattutto se parlate male di birra (artigianale) o sparate cazzate che manco Salvatore Bagni in serata di grazia dei bei tempi andati con qualche bicchierino oltre il limite e le guance rosse, allora pregate che non sia armato. E siccome questo mondo è pieno di cialtroni e maldicenze, adesso mi sfogo per bene e VI LIBERO dai luoghi comuni che brancolano nella cieca ignoranza di chi straparla a sproposito rigonfio di sè, pieno della più grassa superbia e bieca inconcludenza. State sereni, lo so che voi cuccioletti sarete tutti in buona fede, ingenuotti che credete di esser nati nella notte della sgrullata. La mia ira non è certo contro di voi.

1 – La birra “Doppio Malto”.

NON ESISTE!!! (come non esiste LA birra). È solamente capitato che la prima legislazione sulla nascente industria birraria di metà secolo passato (L. n. 1354/1962) si inventò delle “tipologie” di denominazione di vendita delle birre tra cui la “doppio malto”, da adottare per birre dalla più altra gradazione. Quindi, in pratica, con il termine non si indica nient’altro di una birra che, per decisione legislativa UNICAMENTE ITALIANA, ha una densità zuccherina del mosto abbastanza elevata, superiore ai 14,5 Grado Plato (P°) e tutto il resto è fuffa. Niente a che vedere quindi con malti2 – figuriamoci – o il colore o chissà cos’altro. Fatemi un piacere anzi, tanto per essere fini. Qualora un competentissimo esercente vi elargisca perle di saggezza dicendovi “oh, questa qui è DOPPIO MALTO” – e tendenzialmente capita abbastanza spesso –  rispondetegli cortesemente che NON VUOL DIRE UN CAZZO!

2 – La birra “scura”.

Eh no, Non è una birra speciale più alcolica delle altre. Come già detto negli articoli da hipster sulla produzione, il colore – tranne che nel caso di utilizzo di melassa o zucchero candito bruno che scuriscono il mosto – è dato unicamente dalla tipologia e il grado di tostatura dei malti utilizzati. Basti pensare a una Dry Stout o Mild Ale anglosassone, che il Black Tea vi dà quasi più alla testa.

3 – La Corona.

Regà sarà trendy quanto vi pare e fa tanto caraibi al limone, ma puzza di MERDA! Altrimenti perché non si beve da sola? La Corona ha semplicemente deciso per questioni di marketing di confezionare il prodotto in una bottiglia trasparente. Piccolo particolare, la luce è uno dei peggiori nemici della birra, perché i polifenoli presenti nel luppolo sono fotosensibili e rilasciano in breve tempo incredibili aromi di sudore e cane morto (in inglese, “skunky flavour” – Puzzola). Vi dirò di più. Qualche tempo fa iniziarono a distribuire la Corona in versione lattina sul mercato locale. Come facile prevedere, non risentendo degli effetti dell’esposizione alla luce, la birra manteneva un differente sapore ed aroma (non giurerei chissà quanto migliore), lasciando spiazzati i consumatori. Fu così che, almeno pare, la casa madre si inventò il modo di far passare la birra a contatto per un certo tempo con lampade UV, in modo da ritrovare incredibilmente il suo magico ingrediente segreto. E rivai di limone.

4 – La schiuma.

Non fa male. Non fa schifo. Non fatevi vedere mentre versate lentamente la birra inclinando il bicchiere per evitarla. La schiuma come già detto è NECESSARIA, NATURALE e GENUINA. Posso pure tollerare i bicchieri di plastica ma relax and slow down, attendete e il liquido salirà come Daniele Silvestri (balletto incluso).

5 – La birra “cruda”.

Non potete cucinarla né troverete sul retro dell’etichetta i tempi di cottura. E’ solo un modo di chiamare una birra non industriale (non pastorizzata né micro-filtrata).

6 – La birra “artigianale” è cara.

Qui posso incazzarmi di brutto. Mi è capitato d’incontrare qualche birraio in giro, e posso assicurarvi che non gli cadono centoni dalle tasche né si presenta col Cayenne e i fusti nel portabagagli. Il problema è che predisporre un microbirrificio costa abbastanza. Ci sono spazi da adibire e impianti costosi da acquistare. E se non produci quantità considerevoli è difficile generare economie di scala. Ma soprattutto c’è una normativa fiscale da Stato criminale. In Italia infatti sulla birra si paga l’accisa. Non solo. Essa viene calcolata in funzione del grado zuccherino del mosto (Grado Plato) PRIMA della fermentazione e non sulle vendite. Piccolo particolare anche qui, non è detto che la birra venga bene e VENDUTA, anche se già TASSATA. Tassazione e conteggio avvengono inoltre a monte anche sui residui lasciati sul fondo del fermentatore (acqua, luppolo, lieviti) e poi scartati. Detto questo, anche io ho trovato ristoratori che facevano pagare una bottiglia di Chouff da 75 cl più di 20 €. Ma in tali casi abbiamo a che fare con dei CANI, non lasciamoci infinocchiare. E IL VOSTRO AMATO VINO? Quello si che è un prodotto della tradizione italiana (LE ACCISE NON SI PAGANO). Però nella Birra artigianale non conosco Montezemolo di turno.

7 – La birra alla spina è più buona.

Direi di no. Forse è solo più figa. Se parliamo di artigianale, a livello tendenziale, la birra in bottiglia è rifermentata nella stessa con aggiunte di zuccheri prima dell’imbottigliamento che i lieviti residui si mangiano sviluppando naturalmente CO2 , mentre nel secondo caso l’anidride carbonica è direttamente aggiunta nel fusto. Questa è la sola differenza. Anzi, molto spesso, date le necessità di pulizia e manutenzione dell’impianto di spillatura e dei fusti stessi capita che la birra alla spina abbia difetti e off flavours non riscontrabili in bottiglia.

8 – La birra gelata.

Se siete abituati alla Becks da refrigeratore allora parliamone. Più si abbassa la temperatura, meno gli aromi e sapori vengono percepiti dal nostro apparato sensoriale. Per forza una birra industriale va bevuta ghiacciata, appena si scalda un po’ è già PISCIO. Ma ogni stile in realtà andrebbe apprezzato ad una certa temperatura. Se per le Pils si consigliano range compresi tra i 5°e gli 8°, per i Barley Wine è decoroso tenere temperature dai 13°-15° in su.

9 – La birra ingrassa.

Teoricamente, a parità di quantità, la birra è MEDIAMENTE meno calorica di vino, superalcolici, latte e coca cola. Ovviamente dipende, perché una Trappe Quadrupel è tanta quasi come un pranzo pasquale. Quello che ci frega è invece la carbonatazione, perché la CO2 gonfia per bene (ma qui potete parzialmente “ovviare” scegliendo birre abbastanza “piatte” come le Inglesi) e la quantità di birra potenzialmente tracannabile rispetto a vino e altri alcolici, cosi da acquistare sì tanta felicità, ma anche panza e calorie. Su quest’ultima è solo questione di scelte. Io la mia già cel’ho.


Umberto Calabria

Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.

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