A colpi di luce 3.0: Mauro Filippi


00 tasche 00 luogo

 

 

 

 

Ciao Mauro, la prima cosa che ti chiedo è di parlare di te attraverso due scatti: fotografa ciò che hai in tasca e dove ti trovi adesso, raccontaci se (e perché) rappresenta il posto in cui vorresti essere.

Questa è la vista dalla mia postazione di lavoro: una vista privilegiata sulla splendida terrazza di palazzo Valguarnera-Gangi a Palermo, ossia, per i più, la location della scena del ballo de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti. In effetti non so se questo è proprio il posto in cui vorrei essere, ma forse, solo perché ancora non so assolutamente dove vorrei essere. Di certo so che è il luogo dove al momento trascorro la maggior parte della mia esistenza.

“Too much emptiness is never enough”, che significa per te questa frase, cosa vuoi dire?
La verità è che questa è la rivisitazione in chiave più “intellettuale” di una frase ben più goliardica di un mio professore canadese. Ogni settimana infatti, durante la riunione con tutti i ricercatori del laboratorio, lui esordiva dicendo “too much beer is never enough”, mettendo sul tavolo una cassa di birre. Bè, inutile dire che la frase mi colpì molto, tanto da farla mia e trasferirla ad un concetto che mi sta tanto a cuore, prima da architetto, poi da fotografo: il vuoto. Ammetto di avere una visione gravemente viziata da una rigida formazione accademica che ha voluto sempre che i miei progetti fossero bianchi e vuoti, senza alcuna traccia umana. Ciò ha influito molto sul mio modo di guardare il mondo: in “proiezione ortogonale” e con un filtro post-apocalittico. Per questa ragione “troppo vuoto non è mai abbastanza”! Il mio più grande sogno sarebbe passeggiare per un giorno in una città senza anima viva, un po’ come in quel video di Parigi di Claire e Max ma senza giochi di fotogrammi.

07 Milano
Le tue foto ‘urban views’ sono scatti urbani da ogni parte di mondo, com’è che sei attento a queste visioni? Ti spiego, voglio sapere perché ti interessano questi particolari piuttosto che altri, e se gli altri magari ti interessano ma non pubblichi perché vuoi mantenere una certa coerenza stilistica, che ti contraddistingue ecco. Da dove nasce la tua voglia di fotografare questi scorci urbani?
Ancora una volta la risposta è da ricercare nella mia formazione da architetto (mi piace definirlo “trauma da astrazione geometrica”). Si, è inevitabile, è vero, lo studiare e guardare ossessivamente edifici e città mi ha fatto acquisire una rara sensibilità verso i fatti urbani, anche quelli meno evidenti, lampanti. Una sensibilità che paradossalmente si è spesso tradotta, però, anche in spiccata insensibilità verso i fatti umani. E’ come se avessi una sorta di ripudio all’idea di contaminare l’inquadratura con soggetti mobili e pensanti. Ammetto qui che anche studiare tutto quello che ha scritto e detto Gabriele Basilico, nonché osservare attentamente la produzione degli allievi della Scuola di Düsseldorf, mi abbia indirizzato verso questo tipo di sguardo asettico e, se vogliamo, distaccato. Per fortuna ho avuto modo di viaggiare molto nella vita, per studio o per lavoro, e ho quasi sempre portato con me la macchina fotografica, prendendo appunti su luoghi “anonimi” e situazioni senza apparente identità. Ho sempre cercato di percorrere strade alternative, guidato dall’istinto e dalla curiosità di rivedere in tutte le città quello che avevo già visto altrove, per metterlo continuamente a confronto e coglierne i nessi, soprattutto quando non proprio palesi. Di recente sono stato a San Pietroburgo per una conferenza e non ho scattato praticamente alcuna foto. Le città-cartolina non riescono proprio ad attrarmi.

05 Balestrate

Nelle informazioni sulla tua ‘biografia’ racconti che per te le città sono come degli zoo e che cerchi di studiare la relazione tra gli edifici e i loro contesti: sociale/urbano, giorno/notte, pieno/vuoto, come nasce questa riflessione e conseguente studio? Che relazione c’è per te tra l’uomo e la sua città, nei vari paesi in cui sei stato, hai mai visto l’uomo rapportarsi in modo diverso nei confronti del suo luogo, se sì, in che modo?
Qualche anno fa ho avuto il piacere di realizzare una piccola personale fotografica a Palermo dal titolo “Paesaggi Costruiti / Straniamento e Genius Loci”, con la quale, per la prima volta, cercavo di ritrovare quel filo rosso che legava le foto che avevo fatto in giro per il mondo fino ad allora. Mi resi conto che, più o meno volontariamente, avevo sempre mantenuto uno stesso sguardo; avevo focalizzato la mia attenzione su temi, che, seppur declinati in una molteplicità di contesti e situazioni, documentavano sempre il rapporto conflittuale tra uomo e ambiente. Mi sono concentrato sull’artificio del costruito come prova dell’identità dell’uomo a tutte le latitudini. Un’identità piena di controsensi e contraddizioni, la quale, proprio per questo, ha attirato da sempre il mio interesse, quindi il mio occhio. Ancora oggi sono sempre alla ricerca del contrasto, degli errori, delle aberrazioni, della stridente convivenza di contemporaneità e passato. Per fortuna le città contemporanee di tutto questo ne sono sempre piene ed in modo “ugualmente diverso” dappertutto. Le città stanno diventando pian piano tutte uguali ed è proprio in questa fase di omologazione che escono fuori gli effetti più interessanti. Recentemente ho superato parzialmente la mia “misantropia visiva” dando a qualche minuscola persona la possibilità di entrare nei miei scatti. Tuttavia ammetto di averlo fatto, spesso ed esclusivamente, per questioni di composizione o narrazione di particolari fenomeni urbani. In ogni caso la componente umana nelle mie foto ha lo stesso valore delle silhouette dei render architettonici.

Architetto/fotografo, mi dici la correlazione tra le due arti, per te?
Architettura e fotografia per me sono quasi la stessa cosa, non trovo molte differenze. Guardo come disegno e fotografo come guardo. Odio gli effetti speciali e adoro la sospensione temporale e il silenzio delle scene vuote (Ghirri docet). Sarò noioso, triste, non so, ma sta di fatto che in fotografia mi piace il minimo, l’essenziale, o, di riflesso, l’eccessivo, il surreale, l’ossessivo. Una scena stracarica di dettagli per me è come un grande sfondo, in cui i particolari perdono di importanza in quanto tali, ma assumono un nuovo valore in quanto uniti in un’unica grande texture informe e asimmetrica.

09 Los Angeles

Se dovessi partire per un viaggio oggi, cosa porteresti nel tuo zaino e cosa lasceresti a casa?
Molto molto poco. Odio viaggiare con tanta roba. Porterei solo l’essenziale: mutande, calze, qualche ricambio di abbigliamento, la macchina fotografica e una bella guida del posto, cartacea possibilmente. Mi piace programmare tutto, segnare posti e percorsi nelle mappe e ridurle in brandelli durante le lunghissime camminate. Ho provato spesso a sostuire le cartine con Google Maps ma sempre con pessimi risultati. Sono troppo sbadato e costantemente soprappensiero per ricordare di caricare lo smartphone.

Io ho 25 anni e sono fuori corso da un po’, tu ne hai 28 e ti sei laureato da un po’, giusto per curiosità, che ricordo hai dell’università e cosa pensi che ti abbia dato, come ti ha formato?
Dell’università ho un bellissimo ricordo: di certo il periodo più “sereno” della mia vita, nonostante non nasconda di averla vissuta in modo piuttosto “serio”, presentandomi sempre a tutti gli appelli e arrivando sempre per primo in aula. Mi piaceva, mi interessava e, soprattutto, da essa ho sempre preso solo ciò che realmente soddisfaceva la mia curiosità. L’università mi ha dato moltissimo, anche e soprattutto, permettendomi di viaggiare con borse di studio e opportunità all’estero.

Un sogno ricorrente, uno irrealizzabile e uno espresso. Raccontaceli.
Molto banale, lo so, ma inutile negarlo, il mio sogno ricorrente è avere la possibilità di prendere un anno sabbatico per viaggiare in lungo e largo. Ci sono ancora troppi posti al mondo che non ho visto! Un sogno irrealizzabile invece? ok, fare parte del Cique du Soleil, ma non come fotografo, proprio come atleta! Nella mia precedente vita facevo il giocoliere e ogni tanto l’dea torna in mente, è inevitabile. Per quanto riguarda il sogno espresso, bè, in fin dei conti sono una persona con modeste pretese: il concerto dei Foo Fighters all’Unipol Arena di Bologna, lo scorso novembre.

Ho chiesto per un anno, a tutti I fotografi, quali fossero I loro progetti futuri, ho deciso di cambiare e chiederti, cosa vuoi fare oggi e cosa farai veramente?
Ho in mente molti progetti, fotografici e non, tutti appuntati sull’agenda, per proseguire ed espandere la mia ricerca urbana mettendo a confronto stesse immagini di città diverse. Una sorta di mega raccolta encoclopedica alla Bernd e Hilla Becher che metta a confronto vari scorci del paesaggio costruito. Il valore globalizzante dell’architettura nelle città contemporanee è quello che continua ad interessarmi. Forse un giorno riuscirò a realizzarlo, intanto, continuo a lavorare qui, nel mio studio a Palermo, di fronte la terrazza del Gattopardo.

Intervista conclusa, prima però, consigliami un film, un libro, un disco e un fotografo.
mmm, ok, tutto d’un fiato, nell’ordine: “Train de vie” di Mihăileanu; “Imparare da Las Vegas” di Venturi, Scott Brown, Izenour; “In Your Honor” dei Foo Fighters e Sze Tsung Leong, specialmente il suo lavoro “Horizons”.

ringrazio Mauro Filippi per la sua disponibilità, qui il link al suo sito: www.maurofilippi.it

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Giuliana Massaro

Giuliana Massaro, 26 anni, studentessa di lettere moderne da un po', lunatica da sempre. Penso troppo, parlo poco, faccio foto.

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