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La Tortue Rouge: Studio Ghibli e Michael Dudok de Wit stupiscono Cannes


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Il Festival di Cannes si è appena concluso, con i suoi vincitori e vinti e le polemiche, i fischi, gli applausi, e le belle sorprese. Se Ken Loach ha portato a casa la Palma d’Oro, è stato forse La Tortue Rouge – The Red Turtle il film che ha incuriosito di più i più, e se di solito sono refrattaria ad adeguarmi alla massa perché non capisco mai bene dove vada, questa volta seguo orgogliosamente il branco senza porre alcuna resistenza. Che tanto si sta dirigendo proprio dove devo andare io.
Presentato nella sezione Un Certain Regard, ha vinto il premio speciale della giuria e gli occhi incantati di chi il film l’ha visto. Pur non avendo accordi per la distribuzione nel nostro Bel Paese che considera poco o niente l’animazione d’autore, aspettiamo fiduciosi un buchino nella programmazione tra Qualcuno Vs Qualcun altro e qualche prequel/sequel/spinoff/reboot che ti lascia arido e secco come un sasso di Matera a ferragosto.



Prima co-produzione del nipponico Studio Ghibli, che per l’occasione ha collaborato con la francese Wild Bunch, vede impegnato nella scrittura e nella regia il tedesco già premio Oscar Michael Dudok de Wit (Father and Daughter, 2000), al suo primo lungometraggio. De Wit, conosciuto soprattutto per i suoi cortometraggi e le campagne pubblicitarie, una volta chiamato alle armi dallo studio fondato da Miyazaki, si riconferma come il grande storyteller che è, scrivendo un soggetto delicatissimo, così lontano eppure così vicino ai lungometraggi ai quali la casa di produzione giapponese ci ha abituati, fuori dal tempo, che racconta il rapporto feroce tra l’uomo e la natura, resa ancora più feroce dalla solitudine che si può provare quando ti ritrovi su un’isola deserta dopo un naufragio. Disabitata, se non da granchi e grandi tartarughe marine rosse, creature pacifiche e misteriose, che si impegnano in ogni modo per non farti andare via. A salvare il protagonista di questa storia, l’arrivo di una donna, naufraga anche lei, con la quale potrà iniziare una nuova vita con un nuovo passo.
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Proprio su questo passo diverso, forse più lento, o forse più accorto e consapevole nello schivare gli ostacoli che possono interromperne il corso, fa leva De Wit nel raccontare la storia che ha scritto per noi. Il tema del naufragio e la gara per la sopravvivenza in un ambiente ostile che ne è la conseguenza, è stato proposto e riproposto.
L’accento è sempre caduto sul gesto disperato del naufrago di ricreare su un’isola tutto quel mondo che è sparito alle sue spalle, dietro la cresta di un’alta onda. Sulla cecità dell’uomo davanti al ritmo della natura, sulla sua volontà di piegarlo al tic tac di un orologio e la sua resistenza ad adeguarsi ad un sistema che è forse a lui più congeniale di qualsiasi altro strutturato da suoi simili, inventato.
Una storia scritta oggi che ha il sapore di una storia scritta ieri e raccontata secoli fa attorno ad un fuoco prima di essere fissata su carta, che non fa affidamento sui dialoghi. Una lotta e un ragionamento interiore che non hanno bisogno di essere verbalizzati in alcun modo, tanto sono potenti le immagini di una natura paradisiaca e spettacolare, anche quando, furente, scatena alte onde sull’isola spazzando via tutto quello che si è costruito e che si è imparato. Una storia che vediamo scorrere sotto i nostri occhi, muta, per amplificare la nostra immedesimazione, per farci sentire quanto ci appartenga, da sempre, come ogni favola ben raccontata.

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Beatrice Lombardi

Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.

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