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The Blue Boy Club, il volto notturno della libertà...

The Blue Boy Club, il volto notturno della libertà


Un viaggio nel luogo simbolo della comunità omosessuale malese, che per la Shari’a (la legge di Dio) non dovrebbe esistere.

Kuala Lumpur by Leafhopper The Blue Boy Club Una coltre di fumo permea la sala. Mura sporche e dimesse fanno da sfondo ad una messa in scena che gioca ad essere realtà, almeno per una notte.
Nascosto in fondo ad un vicolo buio, lontano dalle luci e dal trambusto del quartiere commerciale di Bukit Bintang, The Blue Boy Club è il fulcro di una diversità demonizzata e perseguitata.
Da trent’anni il club sostiene la comunità LGBT di Kuala Lumpur, centro economico e politico della Malesia, rivestendo il ruolo di valvola di sfogo per sfuggire all’oppressione della libertà individuale, dovuta all’applicazione estremista della Shari’a islamica.

Due giovani artisti, David Simon Martret e Blanca Galindo, che lavorano sotto lo speudonimo comune di Leafhopper Project, ci conducono in un viaggio intenso, che vuole portare alla luce una realtà invisivile, ma non per questo arrendevole.

Blue Boy Club lgbt transgender

Una società in cui la diversità deve confondersi forzatamente con il buio della notte, perché le fondamenta della morale condivisa vietano atteggiamenti ritenuti devianti dalla norma. Questo rende l’omosessualità tecnicamente illegale, prevedendo per i “criminali” la pena di reclusione, quando va bene.
Ma è senza dubbio alla stregua di una prigione, il non poter vivere se stessi come si vorrebbe. Eppure il rischio dell’illegalità non uccide il bisogno di un’espressione libera, e la costrizione resta fuori da quelle mura.
Nonostante i travestimenti e il trucco questo è il luogo dove la maschera della quotidianità viene completamente rimossa per lasciare spazio alla sincera, vulnerabile essenza.
Blue Boy Club lgbt

La festa al The Blue Boy Club inizia alle 2:00 in punto, e dura fino all’alba. Poche ore di spensieratezza in quella che sembra essere un’oasi di felicità e di libertà sessuale, al riparo da sguardi ostili, che sfida il paradosso di trovarsi in un luogo chiuso per sentirsi liberi.

In ogni ritratto David e Blanca hanno affrontato questo senso di libertà con rispettoso distacco, mitigato però dalla macchina fotografica, collegamento indispensabile, raggiungendo un risultato finale rivelatore e poetico, con una serie di ritratti che sembrano raccontare la vita di ogni soggetto.

Progetti come questo hanno il compito di far riflettere su tutte quelle realtà ancora nascoste nell’ombra, in attesa che gli occhi degli altri si abituino e riescano a discernere.
Un tema che necessita attenzione, almeno da parte dell’Occidente, dove la strada non sarà di certo del tutto battuta, ma che potrebbe fornire il sostegno e la speranza che la luce dei riflettori del Blue Boy Club possano un giorno lluminare anche tutte le strade del paese, e pure quelle menti assopite da ipocrite ideologie.
LEAFHOPPER PROJECT

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Blue Boy Club lgbt ragazzo

LEAFHOPPER PROJECT
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Stefano Gizzi

A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.

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