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A colpi di luce: Giovanni Tola

A colpi di luce: Giovanni Tola


Ciao Giovanni, di dove sei, quanti anni hai e da quanto tempo scatti fotografie?
Saludu, come si dice dalle mie parti. Sono sardo, di una regione storica detta Meilogu (in italiano, terra di mezzo – in barba a Tolkien), a qualche km da Sassari anche se, spesso, molti credono che sia straniero per via di pelle e capelli chiari. Attualmente vivo nel piccolo paesino ai piedi di una deliziosa collina alberata e sempreverde nel quale crebbi, nonostante spesso faccia su e giù per l’Italia e, a volte, l’Europa.
Ho 28 anni; perfino con la barba non riesco a dimostrarli. Sono l’eterno ventenne. Il che è un pregio, alla fine.
Scatto foto più o meno seriamente dal 2005: tutto ebbe inizio con una serie tutta tragica e divertente su uno pseudo ibrido in cartapesta di nome SHIT, mezzo uomo (he), mezzo donna (she) e mezzo animale/cosa (it). Riuscii perfino a esporre qualche stampa in una collettiva improvvisata ma, inutile negarlo, i miei lavori passarono in sordina. A me, invece, piacquero molto, tant’è che non mi scoraggiai e continuai indisturbato, tra alti e bassi, a coltivare la mia passione. L’autentico ‘boom’ avvenne nel 2009 quando, in Svezia, iniziai la serie Hybridisering, al quale seguì una personale parigina e qualche simpatico featuring qua e là. Eccetto poche realtà italiane, all’estero è tutt’altra storia, mi spiace dirlo; hanno più coraggio e senso critico. Ora, toccando ferro, si va avanti.

Dai una tua interpretazione al termine “FOTOGRAFIA”
Eh, fosse semplice. Sto ancora cercando di capire bene che cosa possa effettivamente rappresentare per me. Non so nemmeno se la mia, in fondo, sia ‘fotografia’. O, per lo meno, non completamente. Non impazzisco per la paesaggistica o ritrattistica fine a sé stessa; il ritocco eccessivo, l’eccesso di realtà non m’hanno mai entusiasmato. Son più per la metafora, l’irreale che diventa reale, la fotografia ermetica e carica di significato, rischiosa in quanto non immediata, pensata, ma non per questo meno efficace. Mi piace sapere che, dietro uno scatto, c’è qualcosa dietro che va ben oltre il classico trio reflex-cavalletto-fotografo; è un po’ come dipingere, servendosi dell’obbiettivo e della luce. Ok, basta bere mirto.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti? E come interagisci con loro?
Fotografo me stesso sia perché è difficile trovare modelli/modelle disponibili quando ho i cosiddetti ‘art attack’ (non a caso mi chiamo Giovanni). Per farti un esempio, ultimamente scatto in stanze completamente buie, tra le 2 e le 4 di notte: viva la sperimentazione, insomma. Non sono così immediato, ecco. È un mio limite.
Ho creato piccoli editoriali, quello sì, soprattutto per case di moda. Li considero miei lavori a metà, però, perché, in fondo, non m’è stato assolutamente concesso di fare a modo mio.

Digitale o Analogico? Quale significato si nasconde per te dietro questi due termini tanto usati quanto spesso abusati, e qual è il tuo rapporto con essi?
Inutile girarci attorno, il tipo di fotografia che faccio richiede il digitale. Non che con l’analogico non sia possibile ma, scegliendo il primo, risparmio tempo e denaro (sviluppo negativi e successiva scannerizzazione). Tutto, prima o poi, si trasforma in .tiff o .jpeg: cerco di essere pratico.
Ho tutta una mia teoria su questo spinoso argomento: credo che scattare in analogico sia, ormai, meno difficile; tra dieci foto a casaccio, una è sempre meritevole – la pellicola aiuta. Col digitale, insomma: con automatico, siamo buoni a far tutto. Fortuna che il famoso ‘occhio’ fotografico non lo si può mondare su scheda SD.

Cosa fai quando non scatti fotografie?
Una vita davvero semplice. Forse troppa. Mi sto specializzando in antropologia, quindi studio. Collaboro con una galleria/museo d’arte contemporanea e, quando posso, viaggio. E verde. Tanto verde.

Una domanda che vorresti ti venisse fatta?
Come stai? Raramente mi si chiede.

Un fotografo che ci consigli di tenere d’occhio?
Sono troppi. Non vorrei fare qualche torto.

 

Ringraziamo Giovanni per averci concesso l’intervista e vi invitiamo a visitare il suo sito: www.kroppslotion.com


Alessandro Rossi

Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.

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