READING

Parole che non sono innocue: Quella perfezione mal...

Parole che non sono innocue: Quella perfezione malata


Il giorno che ho conosciuto Mia ero in uno stato confusionale tipico degli studenti in ansia da esame imminente, con un gigantesco vuoto nella testa e un pessimismo leopardiano misto a rabbia, paura e inadueguatezza. Avevo appena concluso una discussione piuttosto animata con Chiara e per evitare gesti ai limiti della disperazione, ero corso in uno finto locale su Via Degli Immobili, che emanava una finta musica jazz e mi sembrava frequentato da finti ragazzi aristrocratici e medio borghesi che provavano a darsi un tono sfoggiando un look finto chic.
Mi sembrava il posto giusto per improvvisarsi qualcun altro, così senza pensarci troppo mi sono fatto largo nel marasma di finti sguardi e sono entrato.

Mia tornava dal bagno con le sue amiche, trascinata e inondata dalle occhiate di tutti quelli che erano nel locale, con quella sua aria luminosa e quel modo affabile di farsi notare, immersa in un’aurea di spontaneità impossibile da trascurare in mezzo a tanta finzione.
Aveva questo profilo morbido, mediterraneo, un sorriso familiare che la rendeva incredibilmente alla portata di tutti. E questo acuiva ancor di più quel senso di inadeguatezza che mi trascinavo da casa, reso palesemente visibile a tutti, grazie agli sguardi intermittenti che lanciavo a Mia.
L’unica cosa che riuscivo a fare bene in quel momento era bere finte birre. E lo facevo in modo così naturale e incondizionato che ho finito per berne una e poi un’altra e un’altra ancora, seduto su un divanetto in finta pelle e impossibilitato ad alzarmi per via dell’alcol che cominciava a fluire.
Tenevo d’occhio Mia che chiacchierava con le sue amiche e ogni tanto, ogni tanto spesso, veniva avvicinata da qualche finto aristocratico che provava a sussurarle qualcosa nell’orecchio. Riusciva a liquidare tutti con un sorriso disarmante e questo se da un lato mi faceva sperare in una possibilità, dall’altro mi chiudeva in un silenzio disarmonico nel quale immaginavo le sue mille vite con i suoi mille ragazzi.
Alle due circa, lei e le sue amiche sono uscite fuori lasciandomi inebedito sul divano con il mio ennesimo bicchiere di birra in mano, affogato nella lentezza dei miei movimenti e di tutta la mia vita. Ricordo di aver bevuto lentamente l’ultimo sorso di birra, prima di essere assalito dall’instinto irrefrenabile di seguirla. Così mi sono fatto forza, ho piantato le mani ai fianchi, mi sono dato un’instabile spinta, diretto verso la porta d’uscita, in un equilibrio fisico e mentale ai limiti della decenza. Ma mi sentivo una persona vera, nel mio abbigliamento trasandato e nel modo in cui non stavo rispettando le regole del finto bravo-ragazzo, amplificando il mio ego e donandomi incosciamente ancora più energia.

Mia fumava una sigaretta seduta sui gradini di una chiesa adiacente e in quel momento persino fumare mi era sembrata una cosa saggia e bella.
Ho sveltito il passo, impaurito da un possibile e improvviso calo dell’effetto dell’alcol e mi sono diretto verso di lei con il cuore che mi usciva dal petto per la paura di essere liquidato.
Non riuscivo a pensare a nulla che non includesse il suo sorriso, smanioso come ero di presentarmi e di dirle qualcosa di sensato mentre la mia distanza da lei diminuiva considerevolmente. Così mi sono messo a correre alla disperata fino a raggiungerla, ho raccolto una bottiglia vuota di birra e….l’ho colpita alla testa.
E l’ho colpita ancora e ancora e ancora, fino a vedere il sangue sgorgagli a fontanella, con quella violenza repressa di cui ero conscio e che ben si sposava con sua la naturalezza. Era bella, armoniosa, perfetta, avvolta in un fiume rosso tanto denso quanto chiaro che le penetrava il vestito e metteva ancor più in evidenza le sue forme. Era bella, armoniosa, perfetta.
Di colpo vengo distratto dalla voce stridula di una delle sue amiche, che grida “Stanno masasacarando Mia.”
Mia. E’ stato allora che ho saputo il suo nome. E’ stato allora che ho conosciuto Mia.

Dico davvero. Era perfetta.


Alessandro Rossi

Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.

Commenti

commenti


RELATED POST