Tuesday poison: Marco Rea


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Il grande filosofo tedesco Walter Benjamin affermava che “ogni gesto è un evento, si potrebbe quasi dire: un dramma in sé”. Partendo da questa citazione che Benjamin ha voluto proferire a proposito dell’arte letteraria vorrei timidamente e senza troppi presupposti indirizzare le parole del filosofo verso un’altra forma d’arte, quella di cui si parla in questa rubrica che accompagna i nostri martedì da ormai un po’ di tempo.
La gestualità dell’artista che crea, sia egli uno scrittore o un pittore, è un atto coraggioso come quello dell’attore che recita su un palco davanti ai suoi spettatori che attendono di essere travolti dalla sua interpretazione che mira a coinvolgere i sensi attraverso la sua bellezza apollonica e la sua passione dionisiaca.
Quando queste due componenti penetrano l’un l’altra allora il dramma irrompe imperturbabile nell’estasi di chi osserva.
Se dovessi descrivere cosa sia per me il dramma allora senza proferire parola alcuna mostrerei al mio interlocutore una qualsiasi opera del nostro ospite di oggi, una persona straordinaria oltre che un fantastico artista che io ho avuto l’onore di conoscere personalmente: Marco Rea.

Nato a Roma nel 1975 e tuttora residente nella capitale, Marco Rea è uno dei più illustri esponenti dell’arte pop surrealista nel panorama italiano.
Di lui prima di noi hanno parlato anche Juxtapoz e Inside Art, le sue opere sono state esposte a Mondo Pop, Mondo Bizzarro Gallery, alla Fabrica Fluxus Gallery di Bari ma anche a Berlino, Parigi e NewYork.
La tecnica di cui fa utilizzo è pittura spray su manifesti pubblicitari, la quale gli consente di realizzare dei veri e propri capolavori che ho avuto modo di apprezzare dal vivo, nel suo studio al Pigneto, e non una volta sola.
Reduce da una mostra a San Francisco presso la Shooting Gallery l’inverno scorso, Marco Rea racconta nelle sue opere la metamorfosi della bellezza femminile in un percorso fatto di stravolgimento delle linee che compongono il viso e i corpi patinati dei manifesti pubblicitari.

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Servendosi dei suoi strumenti e della sua tecnica, l’artista romano lavora sulla superficie dei suoi supporti che siamo abituati a vedere in strada, nei nostri spostamenti quotidiani: quei volti plasticamente perfetti, resi tali dalle trasformazioni di fotografi, subiscono un ulteriore stravolgimento prima nella mente e poi nella gestualità di Marco Rea, il quale apre lo sguardo di chi si pone davanti ai suoi lavori a una nuova dimensione visiva, fatta di esplosione di colori e talvolta di linee che si incastrano perfettamente tra i tratti delle fanciulle.
Nei suoi lavori va in scena il dramma, esattamente ciò di cui parlavo nelle prime righe, quel dramma poetico in cui la gestualità trasforma l’apparente bellezza in un’opera d’arte in cui il passato e il presente del soggetto si incastrano perfettamente in quel gioco di luci ed ombre in cui l’opera viene forgiata.
Un’autentica espressione di un surrealismo che potremmo forse definire iconografico quello di Marco Rea, una sfida vincente alla sacralità dell’ordinaria bellezza.

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Eva Di Tullio

Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!

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